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Il triplo principio della rosa+croce:
fede, speranza, carita'
Il cuore ha ragioni
che la ragione non conosce.
Blaise Pascal

Fede, Speranza e Carità sono nel catechismo cristiano le tre virtù teleologali, ma sono anche i tre principi fondanti la dottrina dei Rosa+Croce, altrimenti definite le tre colonne del loro tempio. Per S. Agostino la Fede è il credere a ciò che non si vede. In Hume la Fede o Credenza è un tipo di conoscenza non razionale, dipendente dall’abitudine. Per Kant è l’accettazione di ideali (le idee della ragione, ed in particolare i postulati della ragion pratica) non dimostrabili teoreticamente, ma necessari per l’esistenza della legge morale, come le idee di Dio, libertà ed immortalità dell’anima. La Speranza consiste nella convinzione ferma e nella fiduciosa attesa della resurrezione e della beatitudine eterna. Simbolo della Speranza è l’Ancora: "Chi perde denaro perde qualcosa, chi perde l’onore perde molto, chi perde la Speranza perde tutto". La Carità è la più alta delle tre virtù teologali, da cui procede l’amore di Dio e del prossimo. San Paolo ha esaltato il valore della Carità rammentando che, qualunque opera buona l’uomo compia, se non vi è la Carità resta come un bronzo risonante o come un cembalo squillante (I Corinzi 13, 1), San Tommaso dimostra che nella Carità si trovano i caratteri della vera amicizia che ci lega a Dio: "Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutto il tuo spirito", cui è legato il secondo precetto: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Matteo 22, 37). Per il cristiano la Carità è la partecipazione alla vita propria di Dio che questi gli accorda: è la Grazia abituale o santificante. La Carità è pure uno dei principi essenziali del buddhismo. Francesco Stabili di Simeone, meglio noto come Cecco d'Ascoli, Ancarano, Teramo, 1269 - Firenze, 16 settembre 1327), fu un poeta, medico, professore universitario ed astrologo/astronomo (al tempo le due discipline erano unite) e scrisse un poema “L’Acerba” che avrebbe dovuto, nelle sue intenzioni alla Divina Commedia e così descrive la Carità nel suo simbolo più importante, il Pellicano:


Il pellicano con paterno amore
Tornando al nido e fatigando l’ale
Tenendo li suoi figli sempre al cuore,
Vedeli uccisi dall’empïa serpe,
E tanto per amor di lor glien cale,
Che lo suo lato fino al cor discerpe.
Piovendo il sangue sopra li suoi nati
Dal cor che sente le gravose pene,
Da morte a vita sono ritornati.
Da questo in noi si muove conoscenza
Di Quel che muove il tutto e lo sostene,
E l’universo per lui si dispenza.
Come del pellicano Ei tien figura,
Per li peccati dei primi parenti
Risuscitando l’umana natura.
E noi, bagnati da sanguigna croce,
Risuscitando da morte dispenti,
Di servitude lasciamo la foce,
Sì che per morte riprendiamo vita
Che per peccati fu da noi partita.


L’Acerba, Libro III
CAPITOLO IV

Il tema è stato più volte trattato dagli artisti dal Trecento in poi con modalità che sembrano voler implicare la sua utilizzazione come codice di riconoscimento. A tale riguardo considereremo innanzitutto l’”Allegoria del Buono e del Cattivo Governo” di Ambrogio Lorenzetti, un grandioso ciclo di affreschi che l’artista realizzò, tra il 1337 e il 1339, nella Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena. Il ciclo è una delle prime opere di carattere esplicitamnte laico, in particolare politico nell’arte del tempo. L’artista volle rappresentare da un lato l’Allegoria del Cattivo Governo con le calamità che ne conseguivano (carestia, assassini, saccheggi, violenza, povertà, ecc.) dall’altro l’Allegoria del Buon Governo con i suoi benefici effetti (città prospere, campagne coltivate, benessere, ricchezza, gioia, e così via). L’intento era moralizzante: dimostrare che solo se l’amministrazione della cosa pubblica fosse avvenuta su principi di giustizia sociale, il popolo ne avrebbe tratto beneficio. Il terzo momento del ciclo è quello dell’Allegoria del Buon Governo: qui campeggia la figura di un vecchio e saggio monarca che siede sul trono, circondato dalle figure allegoriche della Giustizia, della Temperanza, della Magnanimità, della Prudenza, della Fortezza e della Pace. (84) Sul suo capo vi sono inoltre le personificazioni delle virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. (85) Si tratta di tre figure, la Fede che porta una croce, la Carità che ha in mano un cuore, la Speranza che ha le braccia aperte. Proseguiamo il nostro cammino con gli affreschi del Perugino, nel Collegio del Cambio di Perugia, dipinti nel 1500. Essi ci indicano chi sia l'uomo "virtuoso" secondo la concezione Rinascimentale. Ma questa visione, oltre ad essere rinascimentale, è chiaramente una eredità della tradizione cristiana. E nel concetto di “uomo virtuoso”, come già il primo libro in ordine cronologico del Nuovo Testamento, appaiono le tre virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità. Così Paolo scrive ai Tessalonicesi: " Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo " (1 Tes 1, 2-3).

E' dalla rivelazione del Figlio di Dio incarnato che nascono le virtù "teologali", divine. Ed ai Corinzi Paolo dirà ancora: "Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità !" (1 Cor 13, 13). Questa armonia della virtù vuole testimoniare l'iconografia degli affreschi del Collegio del Cambio. Il Collegio del Cambio è, in Perugia, il luogo di riunione dell'Associazione dei cambiavalute che, nella città medioevale, assume una importanza crescente, man mano che si sviluppa l'identità della Città Comunale. Al Collegio del Cambio erano sottoposti tutti i provvedimenti riguardanti la monetazione. Il Collegio del Cambio chiese al Perugino di affrescare la sala. E' ormai certo che, nella scelta iconografica dei soggetti, Perugino fu guidato dall'umanista Francesco Maturanzio. Il Maturanzio tornò a Perugia fra il 1497 ed il 1498, dopo aver studiato a Vicenza e Venezia. In un manoscritto conservato nella Biblioteca Augusta di Perugia sono stati rinvenuti poesie ed epigrammi dell'umanista perugino che illustrano le 4 virtù cardinali e la figura di Catone. Le sue fonti letterarie debbono essere state i Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio Massimo, un centone di età augustea di episodi esemplari ben noti nell'umanesimo e nel Rinascimento, il De officiis di Cicerone e le Divinae Institutiones di Lattanzio (per quel che riguarda i cartigli dei profeti e delle Sibille). Nell'allegoria delle virtù cardinali troveremo sempre due personaggi romani ai lati ed un personaggio greco al centro. La fede è rappresentata dal Perugino nell'affresco della Trasfigurazione. (86) La fede, infatti, non è un moto interiore dell'anima , senza che vi sia una influenza esterna. La fede cristiana è una reazione. I teologi dicono che la fede ha due aspetti: la "fides quae" (la fede che è creduta, il contenuto della fede) e la "fides qua" (la fede con la quale io credo, l'abbandono e la fiducia che io ripongo in Dio, affidandomi a lui). L'affresco mostra Gesù che appare luminoso mentre risuona la voce: "Questo è il mio Figlio, il Diletto". Tutti i teologi riconoscono inoltre nella voce del Padre il riferimento biblico all'unicità del figlio di Abramo, Isacco: "Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami". Ecco quindi la "fides quae", il contenuto della fede. Ma, d'altro canto, a cosa servirebbe la professione della fede se essa non diventasse allora fiducia in Dio, proprio perché è presente in mezzo a noi il Figlio? Il Perugino per esprimere questo concetto adopera le parole evangeliche: "Signore, è bello per noi essere qui". Ecco la "fides qua", la vita che "nell'obbedienza della fede tutta intera si abbandona a Dio, prestandole il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" (Dei Verbum 5).

La virtù teologale della Carità ci appare nell'affresco della Natività. (87) L'amore non è opera dell'uomo, ma opera di Dio. "In questo sta l'amore, non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi" (1Gv 5, 10). Tutti sono qui non più rivolti con lo sguardo in alto, come nell'affresco della Trasfigurazione, ma inginocchiati dinanzi al bambino, con lo sguardo che discende su di lui. E' la discesa, l'incarnazione del Figlio, la kenosis, l'abbassamento. Ed il bambino guarda noi, spettatori dell'affresco. "Gloria nell'alto dei cieli" recita la scritta cantata dagli angeli, ma anch'essi guardano in basso, perché la gloria celeste di Dio rifulge in "quel" bambino posto in mezzo agli uomini. Come dice la II lettera dell'evangelista Giovanni: " Poiché molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo! Fate attenzione a voi stessi, perché non abbiate a perdere quello che avete conseguito, ma possiate ricevere una ricompensa piena. Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio" (2Gv 7-9). Tutto l'amore di Dio si incontra in quel bambino, nella carne del bambino Gesù. E' per questo che la virtù della carità sarà poi il chinarsi su ogni vita, su ogni storia umana, nella sua unicità, come è unica la presenza del Figlio di Dio nell'Incarnazione. Ma il Perugino raffigura anche la virtù della Speranza. Non si spera "in generale", si spera nel Padre che ha promesso il suo Figlio, il suo amore. E' la promessa di Dio il fondamento della speranza, come ci mostra l'ultimo affresco. (88) Al centro, in alto, vediamo rappresentato Dio Padre, che tiene in mano la sfera dell'universo, circondato dagli angeli santi. In basso i messaggeri della promessa divina, a sinistra i Profeti e a destra le Sibille. I profeti hanno un cartiglio con una citazione che prefigura la venuta del Salvatore. Ecco Isaia che dice: "Ecco la vergine concepirà", poi Mosè - "Nascerà una stella da Giacobbe" - Daniele - "Vedrò" - Davide - "La verità è sorta dalla terra". E' la parola biblica veterotestamentaria, riletta alla luce della dottrina cristiana. La Carità è anche raffigurata da Giorgio Vasari ne “Il Trionfo della Carità” risalente al XVI secolo. (89) Tra amorini reggenti corone d’alloro, tranne uno con una fiaccola, la figura femminile regge il nido di uno splendido pellicano che si ferisce il petto per resuscitare col suo sangue i tre piccoli. Infine esamineremo una splendida “Allegoria delle Virtù Teleogali” della scuola di Annibale Carracci, dipinto tra il 1620 ed il 1650, Palazzo di Montecitorio, Roma. (90) Tra quelle esaminate, questa è l’opera più evidentemente rosicruciana, come comprovato in primo luogo la raffigurazione delle tre figure femminili, nei colori correlati, il bianco per la Fede, Il verde per la Speranza ed il rosso per la Carità. Inevitabile il riferimento all’apparizione di Beatrice, somma dei colori e quindi delle tre virtù, nella Divina Commedia:



Così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva giù in entro e di fori,
sovra candido vel cinta d’oliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.


Purgatorio, Canto XXX
Dante Alighieri

Proseguendo nell’esame, la figura della Fede è nuda, perché essa è Verità per chi la prova, la figura della Speranza ha una ghirlanda di fiori in testa ed una in mano, perché i fiori sono la promessa della natura di rinnovare e fruttificare, la figura della Carità con una mano sparge delle monete e con l’altra butta del pane a dei fanciulli, mentre in alto c’è ancora il pellicano. Quello indicato è per questi motivi un codice per Rosa+Croce, come più avanti farà John Flaxman, grande disegnatore inglese (1755-1826), nelle sue illustrazioni della "Divina Commedia". Infatti egli sceglie per ognuno dei 100 canti un episodio che per qualche motivo suscita il suo interesse, trascrivendo i versi danteschi, ma quando deve proporre una sintesi, disegna le tre virtù teleogali. Riportiamo l’immagine, in originale a stampa, ritoccata a colori, perché è più esplicita di qualunque commento. (91) Per conferma della natura di codice della raffigurazione o della citazione delle tre virtù teleogali riporteremo due brani di Cagliostro. Il primo è tratto dal memoriale di difesa, scritto in occasione del suo imprigionamento alla Bastiglia per il famoso caso della collana. E’ un brano dove il Grande Copto confessa la sua appartenenza alla nobile confraternita, forse per sollecitare la influenza dei Rosa+Croce profondamente radicati in Francia:



Vado verso il Nord,
verso la bruma ed il freddo
abbandonando dappertutto
qualche particella di me stesso,
andando oltre me stesso,
diminuendo me stesso a ciascuna stazione,
ma lasciando a voi un po’ di chiarezza,
un po’ di calore, un po’ di forza,
fino a che non venga infine fermato
e fissato definitivamente
al termine del mio corso,
nell’ora in cui la Rosa rifiorirà sulla Croce.


Cagliostro
Memoriale per l’accusato, 30 maggio 1786

Il secondo brano, invece è tratto dagli atti del processo romano che segnerà la sua fine, pubblicati dal segretario della Santa Inquisizione, mons. Barbieri:



Richiesto delle Virtù Teologali disse:
se mi diranno la prima parola, me ne ricorderò.
Interpellato quali e quante fossero le Virtù Cardinali,
soggiunse che erano la stessa cosa delle Teologali.
Gli si dimandò de’ Consigli di Perfezione;
e se ne ebbe in risposta:
Fede, Speranza e Carità.


Interrogatorio nel processo a Cagliostro

Come si vede Cagliostro, mostra di non voler chiamare la Fede, la Speranza e la Carità, virtù teleogali, ma cerca di trasmettere il messaggio che per lui siano Consigli di Perfezione, cioè che egli sia qualcosa d’altro. Ciò forse nella speranza che tra chi lo processa ci sia un confratello che possa fare qualcosa per salvarlo. Così non è avvenuto, ma l’episodio è una ulteriore riprova della natura di codice del triplice simbolo esaminato.

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